27
Mag

Perchè ci chiamiamo “Oblivion”?

Carissimo F.,

come già ti scrissi, sto continuando imperterrito la mia ricerca di tutti quegli eventi curiosi e poco conosciuti avvenuti nella storia del mondo. La biblioteca di Amburgo si è rivelata ricca di storie e folklore e ci ho trascorso innumerevoli ore, dall’ultima volta che hai letto la mia ultima lettera. Ti potrei raccontare di quell’uomo senza memoria, ma con un innato talento musicale, trovato nella periferia di una grande città tedesca, oppure di un folle morbo che costringeva le persone a ballare fino alla morte, capitato proprio qui alcuni secoli fa.

La mia attenzione si è rivolta, però, ad altro. Tra gli scaffali dedicati alla geografia e ai luoghi del passato, tra alcuni volumi dimenticati, in cui vi sono iscritte mappe e luoghi mai visti dall’uomo ho trovato un manoscritto davvero particolare. Su di esso, ho trovato diversi appunti appartenuti ad un monaco francescano vissuto prima della grande riforma protestante. Il piccolo volume aveva tutta l’aria di un diario, era fatto di carta spessa, che su molte pagine presentava dei simboli o dei frammenti di  miniature davvero incantevoli.

La mia prima ipotesi è stata che si trattasse di alcune pagine ricavate dagli scarti di altri manoscritti. Non era usanza, buttare così semplicemente delle pagine già decorate, ma evidentemente le parole su di esse erano talmente nefaste e blasfeme da costringere i monaci ad un tale sacrificio. Le ragioni per il quale questo monaco avesse deciso di utilizzare tali pagine sacrileghi mi fu ignoto inizialmente, ma ben presto compresi.

Il manoscritto era ricoperto da alcune tavole di legno, che ne formavano la copertina, segno di un lavoro lasciato a metà. Potevo vedere ancora i segni lasciati ed i buchi vuoti dove sarebbe dovuta essere fatta la rilegatura del libro, ma evidentemente il monaco decise di lasciare questa opera a metà, ma senza il coraggio di distruggere quanto creato. Un sentimento che forse sarebbe stato necessario visto il contenuto.

Scorsi più volte le pagine tra le dita. Nessuna miniatura, solo muri di testo in un volgare tedesco, di cui inizialmente tradussi solo alcune parole, tanto per cercare di capire se effettivamente si potesse trattare di qualcosa di interessante. Una parola si cementò nella mia mente e vi rimase anche nei giorni successivi: Oblio.

La trovai numerose più volte tra le pagine, fino a che, arrivato in fondo al manoscritto, solo quella parola componeva i testi di quel maledetto libro, quasi come un grido di disperazione, una maledizione che ossessionava questo disgraziato monaco. Chiusi subito il libro e lo riposi velocemente in quell’antro che avevo trovato uscendo velocemente da quegli scaffali, in cerca di luce ed aria.

Mi sentii sollevato incontrando un giovane studente seduto ad un tavolo ed intento nello studio del corpo umano, in mezzo a numerose tavole raffiguranti corpi smembrati e rivoltati. Ma quella parola rimase fissa nella mia mente.

Tornai all’albergo in cui soggiornavo e prima di ritirarmi nella mia stanza decisi di mandare un telegramma al Professor P. per informarlo delle mie ultime ricerche sul folklore della Germania del Nord. Non accennai, alla piccola scoperta di quella sera; a quel volume dimenticato dal tempo e dall’uomo, ma cercai di concentrarmi sulla magia ed il tepore che alcune leggende avevano risvegliato la mia mente ed il mio interesse.

Mi feci portare la cena in camera, un pasto misero di cavolo, patate ed un qualche tipo di pesce, che non ebbi la forza di carpire dalle parole del cameriere che provò a descrivermelo. Passai il resto della serata, consumando il pasto e continuando a scrivere il mio saggio, di cui il Professor P. sarà il mio relatore e il cui compimento è ancora più vicino alla su a conclusione dell’ultima lettera che ricevesti.

Le luci nella mia stanza erano fioche, ma ancora accese, quando l’orologio scoccò la mezzanotte. Il lavoro era ancora tanto e mi aveva completamente assorbito tanto da farmi dimenticare l’ora. Ma in tutto quel tempo, una sola cosa non cessò: una voce. Una parte della mia mente, forse scossa, dall’avvenimento di quel tardo pomeriggio, continuava a sussurrarmi quella parola: oblio.

Non sapevo se si trattasse di una qualche maledizione, o della mia irrefrenabile curiosità, ma cominciai a distrarmi sempre di più Ripensai a quelle pagine così spesse e deperite, a quella calligrafia, così lontana dai caratteri gotici e precisi dei manoscritti amanuensi che avevo già visionato. I dettagli di quel manoscritto erano così vividi nella mia immaginazione, che chiudendo gli occhi avrei quasi potuto toccarlo e sfogliarlo ancora una volta. Decisi così che il giorno dopo sarei tornato fin dal mattino in biblioteca per visionare quel manoscritto.

Dormii, o perlomeno ci provai. Il sonno fu abbastanza tormentato e al mattino ricordavo solo qualche immagine dei sogni e dei pensieri che avevano passato la mia mente: città in fiamme, un’ombra nella notte ed una luce nelle tenebre, da cui però non proveniva alcun conforto, ma solo terrore. Non serve che ti descriva lo stato dei miei vestiti al risveglio, madidi di sudore.

Poco dopo una colazione veloce, ed un salto al telegrafo per un ulteriore aggiornamento, mi ritrovai su una carrozza diretto alla Biblioteca Warburg. Passai con insolita veemenza e nochalance il saluto del bibliotecario che nei giorni passati aveva aiutato la mia ricerca con curiosi testi dimenticati dai più sulle tradizioni delle popolazioni germaniche e quello di alcuni ricercatori che avevo avuto modo di conoscere e con cui avevo trascorso diverse ore di conversazione, fuori dalle porte di quel luogo di conoscenza.

Entrai velocemente in quel corridoio di libri, che il giorno prima mi aveva così angustiato e mi diressi nell’angolo più buio, dove si trovava quel manoscritto. Riprenderlo fu una sensazione strana, quasi come quella di chi si trova di fronte ad una scoperta sensazionale e sotto certi aspetti mi viene da pensare che sia così. Purtroppo l’idea che forse alcune conoscenze debbano restare nell’ombra del sapere umana ogni tanto continua a pervadere la mia mente.

La copertina era ancora rovinata e le pagine spesse come pelle di capra, ma questa volta mi concentrai sul contenuto. Dietro di mi si trovava un piccolo scranno impolverato, con molta calma mi ci sedetti e li cominciai l’analisi dell’opera. In quei primi momenti scopri il reale scopo di quel libro, non tanto come diario, ma come ricerca e forse monito.

La mia personale conoscenza della lingua tedesca è come ben sai abbastanza adeguata per intrattenere conversazioni molto più che approfondite su diversi argomenti, ma il volgare di chiara origine medievali di cui dovetti iniziare la traduzione fu davvero ostico. Più volte dovetti fermarmi per cercare di interpretare al meglio quanto scritto, oppure cercando sul piccolo vocabolario che sovente porto in tasca per le situazioni più disperate. Il sole fece in tempo a compiere il suo ciclo ed io era quasi arrivato alla conclusione della mia opera. Traducevo quasi senza leggere e senza capire il quadro generale.

Quest’ultimo mi apparve solo una volta concluso il lavoro, quando un vecchio signore arrivò con una piccola lanterna per chiedermi di uscire, vista l’ora tarda e la necessità di chiudere. Alzando la luce verso di me deve essersi preso un colpo, visto il mio viso pallido e lo sguardo atterrito che avevo in quel momento.

Non ricordo il viaggio di ritorno in albergo, ne le parole che dissi durante quei momenti, ma una volta in stanza non avevo altra forza, se non quella di scrivere questa lettera, un po’ per informarti di questa mia avventura, un po’ per riordinare le idee, ma anche per avere un tuo consiglio. So, la tua grande esperienza delle leggende del Nord Europa e spero che tu sia in grado di confermarmi che di questo si tratta, caro F.: una leggenda.

Il tutto inizia nel più semplice dei modi con una preghiera. Il monaco sembrava aver appreso coscienze oscure, ben lontane dalla luce sacrale che accompagna il cammino liturgico di questi ordini. Seppur scritto in un volgare tedesco, i riferimenti ad una bestiale divinità pagano sono evidenti fin da subito.

“Oh Dimketmekug, dammi la forza per poter contrastare la luce. Colui il quale nell’ombra resta, sempre avrà il controllo sul mondo oscuro, l’oblio che tutto vede”, così ho malamente parafrasato la prima preghiera iniziale. Non ho ancora indagato chi sia questa divinità pagana, ma la blasfemia che trasuda da essa, mi fa ancora rabbrividire l’animo.

Non ho alcuna memoria storica di questa terribile divinità, ma l’intero manoscritto sembra volerne incanalare l’oscura forza, in qualche modo. Un’invocazione per richiamare dall’ombra delle forze demoniache che la mente umana non è in grado di comprendere e che sicuramente porterebbe alla follia, qualsiasi mente comune. Per questo mi ritengo estremamente fortunato nell’essere riuscito a proseguire il mio incarico di traduzione del libro.

Non so quali forze nascoste siano riuscite a sostenermi in ciò, ma il dubbio che tutto quello che è seguito sia alla fine dei conti frutto della mia mente ottenebrata dalla malattia mentale, in questo momento si fa sempre più vivo. Le successive pagine del libro non sono altro che un tentativo di rievocare ricordi di un popolo antico, vissuto migliaia di anni prima dell’arrivo della prima civiltà nota.

Si fa riferimento ad un periodo occorso poco prima della nascita della scrittura, un periodo in cui gli dei camminavano sulla terra, tra gli uomini. Uno di questi, sembra volesse donare una conoscenza segreta ed arcana ad i suoi fedeli più devoti.

Nel testo scritto, come se il monaco stesse parlando in prima persona, proprio come se avesse visto con i suoi occhi quanto accaduto migliaia di anni fa, si parla del Czatghl, del Prtyun, della Qwdion e di altre pratiche oscuro, di cui non ho trovato altri riferimenti, ne sono riuscito ad attribuirgli parole nella nostra lingua. La loro realtà supera di gran lunga la nostra. Ed è qui, tra le descrizioni di città senza fine costruiti tra monoliti perfetti, incastrarti in maniera precisa tra di loro che si inizia a parlare di Oblio. La dicitura esatta riportata dal monaco è quella latina, di Oblivion, un termine fin troppo terreno per descrivere la grande oscenità che rappresenta.

Un oscuro rito perpetrato oltre diecimila anni fa diede inizio ad una dinastia che regnò nel sangue per diversi secoli, nomi di re che mi sono sconosciuti sedettero su un trono rimasto ignoto all’uomo fino ad ora. Sotto di esso cadaveri, sangue e fuoco. L’umanità stessa non poteva descriversi come tale, ma più come una bestiale fornace atta a soddisfare i bisogni pagani ed immondi di queste bestiali entità, evocate per mezzo di questo oscuro rituale. Demoni senza volto, altri striscianti con due teste, entità fatte di metallo, tutte queste servivano una terribile volontà la cui una ragione di esistere non può essere compresa dagli uomini.

Il testo iniziò ad essere confuso, o forse era la mia mente che per proteggermi da queste conoscenze oltre ogni immaginazione ha iniziato a farmi rifiutare quanto stavo traducendo. Si parla di come dopo secoli di dominio, questo mondo cadde e di come le città andarono in fiamme, travolte da un mare di sangue e sommerse per altri secoli, fino a quando la civiltà provò di nuovo a risorgere, cercando di dimenticare quegli anni oscuro.

E’ incredibile la nostalgia con cui il monaco parla dei secoli e millenni di luce che seguirono, quasi a rammaricarsi della mancanza di sangue versato e le milioni di vite spezzate. Sta di fatto che questo Oblivion non sparì del tutto, ma semplicemente si evolse, in qualcosa di diverso. Ogni volta che una civiltà cresceva, questo terribile morbo compariva, sotto forme che mutavano di volta in volta. Lupi travestiti da pecore, che hanno contribuito a rovesciare imperi e distruggere società. “Un oblio che tutto vede” , ma sembra che qualcosa di diverso ci sia lo stesso. La crudeltà e mefistofelica perfidia perpetrati all’origine de tempi sembrano essere stati molto ridotti, ma il monaco sembra non volerne parlare. Forse mancò qualcosa a quello che con i millenni si trasformò in un vero e proprio culto.

L’attesa di qualcosa, la preparazione di un evento o forse niente di tutto questo.

L’oblio era entrato nella sua mente. Ora che ci penso, non posso non vedere quadri, foto o raffigurazioni di eventi macabri o terribili del passato che non presentino quella parola. E sembra che verso la fine del suo racconto, la mente del pover’uomo non abbia retto a quanto raccontato, scivolando in una follia ancora più oscura. Oblio, oblio oblio, oblio. Solo questo iniziò a ripetere, inneggiando forse a qualcosa o qualcuno.

Caro F. non so cosa ho trovato veramente in questa libreria, ma in questo momento la mia mente sembra scivolare in quella esatta oscurità che travolse quel monaco. La storia umana così come la conosciamo ha voluto dimenticare volontariamente momenti che sono inesorabilmente legati a follia pura, una terribile verità che se portata a galla porterebbe il mondo intero a cadere sotto il peso di una realtà oltremodo impossibile da gestire. Il diario di quel monaco, non è più in libreria, è qui sul mio tavolo, che mi fissa mentre scrivo queste righe. La tentazione di avvicinarlo al fuoco della candela, che mi irradia il volto è forte. Non farei un gesto di carità verso questo mondo se distruggessi le prove del suo terribile passato?

Nella mia testa quella parola sembra risuonare sempre più, non sussurrata dalla mia mente ma da quella di milioni di voci, che da milioni di anni abitano il cosmo ed il mondo ben prima dell’arrivo di una scimmia urlante . Forse il ritorno di Oblio non sarebbe nemmeno tanto terribile, forse è il nostro destino. Perché Oblivion vede tutto, sa tutto. Scriveva prima che l’uomo iniziò a scrivere, costruiva prima che noi iniziassimo ad edificare città sulle rovine di civiltà blasfeme e senza nome. Oblivion sa anche quello che sto pensando. E’ lui che mi sussurra nella testa, con le voci delle sue molteplici vittime, offerte sacrificate per il suo potere, ed io sono una di esse. Forse mi sbagliavo, è bene che torni nell’ombra da cui proviene. Il libro deve rimanere celato. Nell’oscurità la luce è un rifugio alettante, ed una trappola per le bestie inconsapevoli.

Oblivion tornerà, Oblivion resterà. Oh Oblivion dammi la forza per poter contrastare la luce. Colui il quale nell’ombra resta, sempre avrà il controllo sul mondo oscuro, l’oblio che tutto vede. Oblivion, Oblivion, Oblivion Oblivion.